JOHN COPLANS FOREIGN BODIES JUNE CRESPO

Bologna – Galleria P420
di Matteo Franzoni – 27 Marzo 2018

La galleria P420 di Bologna presenta la mostra “Foreign Bodies” con le foto di John Coplans e le sculture di June Crespo. I due artisti usano media differenti interrogandosi sul corpo umano con la volontà di rendere omaggio alla fisicità reale e tangibile persa nell’epoca moderna, restituendo al corpo importanza sia a livello di massa fisica sia psicologica senza alcun timore, mostrando quello che la società oggi tende a rifiutare.

Fabrizio Padovani, gallerista di P420, presenta il dual show realizzato grazie alle foto di John Coplans e alle sculture della giovane artista spagnola June Crespo. João Laia, curatore della mostra e Fabrizio Padovani partono dagli autoritratti del famoso fotografo che usa il suo corpo non tanto per rappresentarlo quanto per fare ricerca di tipo scultoreo e lo accostano volutamente alla scultrice June Crespo, che con questa esposizione si è trovata a dover riflettere sul tema del corpo e lo ha fatto attraverso le basi che appartengono alla sua scultura rubando forme che possono rappresentare il corpo, la sua spina dorsale e la sua fragilità, proprio come faceva il fotografo, che tramite le luci e ombre rendeva plastico il fisico rendendolo scultoreo.
Entrambi gli artisti hanno reso omaggio non tanto ad un corpo classico, giovane e forte, criticando questo tipo di fisicità che oggi viene idolatrato nei bit del web, dove in realtà di concreto e solido non vi è nulla. Entrambi hanno dato concretezza e solidità, durezza e tangibilità duratura nel tempo grazie a spine dorsali evocate da forme di termosifoni realizzate con solide colate di cemento o porzioni di corpo sì invecchiato, ma celebrato eternamente in scatti fotografici che rimandano a statue dell’antichità restituendo così plasticità eterna.

Il visitatore stesso fin dalla prima sala prende coscienza del proprio corpo anche grazie alla disposizione delle sculture perchè è costretto a muoversi in un percorso quasi obbligato sentendo così le proprie ossa muoversi verso una visione rappresentativa di sè stessi riscoprendo il proprio corpo che fino a pochi istanti prima era straniero e sconosciuto.