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Ricordi di un 25 Aprile

Ricordi di un 25 Aprile
Una difficile intervista

Articolo e foto di: Matteo Franzoni

Per me che non ho vissuto e sperimentato l’orrore della guerra andare a chiedere a Romano Termanini, partigiano modenese, cosa pensa della morte lui che l’ha procurata e rischiato di riceverla in modo altrettanto violento, è stato difficile.

Ho cercato in tutti i modi di sviare l’argomento, iniziando dai giorni nostri, chiedendo all’anziano signore cosa pensasse dei giovani di oggi e del futuro italiano.

Ma niente da fare, ormai tutti e due sapevamo perché eravamo uno di fronte all’altro, proprio come negli anni 40 quando tutti e due i combattenti sapevano perché erano li: per uccidersi.

Solo il più scaltro e “Veloce” (nome di battaglia di Romano Termanini) poteva dare precedenza  all’altro per l’aldilà.

Romano, oggi anziano signore certamente forgiato dal passare degli anni, ma per nulla vinto, pieno di energia e soprattutto fiero di essere stato un partigiano attivo a tutti gli effetti mi ha così distolto dalle fatue chiacchiere entrando sul vivo del racconto della sua vita combattiva.

Il primo intervento lo ha fatto all’età di 7 anni, da allora è stata tutta una escalation di morte, per la liberazione e la ricostruzione dell’Italia, della quale mi ha detto non è cambiato tanto da allora, fortemente critico della classe politica di allora come di quella di oggi.

Certamente forte, giovane e complice di quell’ardimento che solo i giovani hanno, ha compiuto operazioni coraggiose sui nostri Appennini, contrastando le forze nemiche con poche armi e ancor meno munizioni, armato solo di una cosa: fame, fame e ancora fame. Il compito difficile dei partigiani era liberare l’Italia dagli oppressori riuscendo a portare a casa la pelle, guardandosi sia dai nemici che dagli amici che spesso potevano essere spie che per due uova o un chilo di sale ti potevano vendere.

Spesso ha condotto operazioni pericolose e solitarie portandole a termine con grande efficacia grazie al suo temperamento di abnegazione e al dovere di combattente per la liberazione.

Nel corso dell’intervista più volte mi ha parlato di un’arma segreta ma io da giovane reporter un po’ timoroso non ho osato chiedere quale fosse, era anche un grande tiratore e lo dimostra il fatto che quando c’erano operazioni particolarmente delicate le affidavano a lui.

Molti episodi testimoniano la sua precisione e freddezza nel prendere la mira.

A Gombola, paesino del nostro Appennino Modenese i partigiani erano accerchiati da 4 divisioni tedesche, una scheggia di granata lo colpì al fianco ma lui non mollò e resistette fino a che la maggior parte dei suoi compagni non furono salvi in ritirata.

Di lui non si seppe più nulla, c’era chi lo aveva dato per spacciato ma Romano, nonostante il dolore provocato dalla ferita riuscì a infiltrarsi avvicinandosi il più possibile a una postazione di camion tedeschi con relative munizioni nemiche con due bombe artigianali confezionate da un amico, lanciò e fece centro facendo un bel fuoco d’artificio, il botto fu così grande che i suoi compagni lo udirono da lontano, affermando “Veloce è vivo”.

In un’altra occasione successiva dovettero impedire il passaggio di nemici e nella notte i compagni misero la dinamite sotto ad un ponte, si accorsero però che mancava la miccia e decisero di attaccare uno specchio vicino all’esplosivo. Dissero a Romano di mirare allo specchietto, dove rifrangeva il sole in modo da far esplodere il ponte mentre loro sarebbero passati a fianco guadando il fiume per arrivare alle postazioni nemiche.

Lui appostato vide arrivare truppe corazzate con tank e camionette, e di sua iniziativa aspettò che il nemico fosse sul ponte per farlo saltare, in modo da impedire una controffensiva… fu una carneficina realizzata in nome della liberazione.

10 maggio 1944 Ponte Cervaro episodio forse il più commovente, un soldato tedesco teneva come ostaggio una donna con un bimbo, lui e un suo amico erano a una distanza di 100 mt.

Romano era armato di una mitraglietta che però aveva un raggio d’azione di poco più di 50mt e gli ordini erano di non mettere a repentaglio gli ostaggi. Per di più del nemico erano visibili solo un quarto di elmetto, un occhio e metà naso.

Veloce non ci pensò nemmeno un attimo, allungò la mitraglietta all’amico il quale capì subito e gli diede il suo fucile 91 TS arma precisa, perfetta e micidiale, nella frazione di un secondo centrò perfettamente l’occhio del tedesco facendo fuoriuscire il colpo dalla parte opposta dell’elmetto,

la donna in men che non si dica corse verso i liberatori.

Nel corso dell’intervista lui stesso mi ha rivelato quale fosse la sua arma segreta data la mia reticenza nel porre la domanda.

Era l’arma più antica del mondo: una pietra, che scagliata a mano libera con forza e precisione in mezzo agli occhi era meglio di qualsiasi altra arma moderna: silenziosa e reperibile ovunque senza costi.

In questi anni ha ricercato la verità con la medesima spregiudicatezza della gioventù spesso taciuta perché scomoda per ragioni politiche. Lo ha fatto accompagnando scuole e visitatori nei luoghi della resistenza e spiegando loro gli accadimenti. Durante una di queste visite un uomo gli si è avvicinato e gli ha detto: ricordi quel bimbo in braccia alla donna in ostaggio? Quel bimbo sono io. Una forte commozione indusse tutti e due al pianto.

Oggi raccoglie un’infinità di documenti e combat film, nei quali si è anche riconosciuto in azione.

In particolare mi ha mostrato un film intitolato “La Repubblica dei Ribelli, i partigiani di Montefiorino” con la regia di  Aldo Zappalà passato dalla Rai nel contenitore La Storia siamo noi di Giovanni Minoli, dove Romano è stato ripreso in azione dai combat film delle truppe americane. Oggi Veloce concede a tutti interviste, mal sopportando tagli e maneggiamenti di informazione, perché la guerra è una cosa orribile e non vuole che sia addolcita da informazione che distorce la brutalità che ha vissuto e che non rinnega in nome della libertà, compresa quella di informazione.

Lui ha lottato e lotta tuttora per la verità, per una vita sincera libera di descrivere accadimenti che devono restare nella memoria perché le generazioni future capiscano che uccidersi solo perché ti hanno detto che esiste un nemico non è vero né giusto. Chiudo l’intervista e saluto Romano, è stato un pomeriggio davvero ricco di emozioni, conoscere Veloce e le mille avventure che ha dovuto affrontare per liberare sé stesso e l’Italia dal feroce regime nazifascista mi ha emozionato e decido di correre subito in studio per scrivere le sensazioni di questa intervista che voglio trasudi sentimenti e libertà come lo spirito di Romano Termanini.
Di seguito per volere dello stesso intervistato riporto le sue dichiarazioni e il suo pensiero della guerra rilasciato alla Rai durante le riprese per il documentario LA STORIA SIAMO NOI :

“personalmente ne ho un ricordo abbastanza drammatico perché ho visto in prima persona delle situazioni veramente drammatiche, però sono fiero e lo dico a piena voce di avere fatto il mio dovere. Posso dire che gli orrori non hanno minimamente scosso il mio animo, il mio pensiero e la mia libertà interiore.” Dice ancora “Per me la guerra è la cosa più orribile che il genere umano si sia inventato. A mio parere non c’è niente, assolutamente niente che giustifichi la guerra perché la guerra riesce sempre a far degenerare fino all’estremo, fino all’ultimo barlume di dignità umana e in guerra il più mite, il più buono degli esseri umani dato gli orrori ricorrenti può trasformarsi in un feroce criminale.”

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